"Bridge the gap" - Attraversando un ponte
"Bridge the Gap" è un'esperienza di progettazione di architetture in materiali naturali, incentrata principalmente sulle strutture in bambù.Ospitata dalla Facoltà di Ingegneria e Architettura (FIA) dell'Università San Martín de Porres (USMP - Filial Norte) di Chiclayo, in Perù, "Bridge the Gap" è nato dall'incontro di quattro professionisti, gli architetti francesi Yann Barnet, Fauozi Jabrane (progettisti e rappresentanti dell'IVUC), Olivier Lehmans e l'architetta italiana Alessandra Fasoli (AK0 - architettura a kilometro zero). La FIA di Chiclayo non è nuova a questo tipo di esperienze didattiche e già nel 2012 ha ospitato due workshop sul tema dell'architettura naturale e della sostenibilità: "Architettura Naturale" ideato e curato dagli architetti Barnet e Jabrane, durante il quale tanto studenti quanto professionisti locali hanno realizzato una struttura ombreggiante in bambù; e "Arquilexirama", un gioco didattico-progettuale ideato dagli architetti Lehmans e Fasoli, in cui la connessione tra il linguaggio orale e l'architettura è stato lo strumento con cui gli studenti hanno analizzato la condizione urbana del loro stesso campus universitario, arrivando a proporre un masterplan generale di riqualificazione della zona, tenendo in conto le necessità degli stessi utenti. Proprio durante "Arquilexirama", gli studenti partecipanti misero in evidenza la necessità si "riunire" il campus universitario, che attualmente risulta diviso in due da un canale di drenaggio abbastanza amplio e profondo da non permettere il suo attraversamento se non tramite un ponte. Da questa esigenza è scaturito il tema progettuale affrontato dai ragazzi durante il workshop: un complesso di otto ponti in bambù, ognuno associato a un tema specifico in relazione al quale ospiterà diverse attività ricreative.
I partecipanti, studenti di entrambe le facoltà di ingegneria e architettura, sono stati divisi in otto gruppi misti, ai quali corrispondeva un ponte specifico.
Il workshop si è articolato in tre fasi principali:
1. LA "PAROLA-CHIAVE"
La prima fase era l'applicazione del principio di "Arquilexirama" ad un progetto specifico, in cui l'idea chiave del progetto, in relazione al tema specifico del ponte e del tipo di spazio che questo suggeriva, dovesse essere sintetizzata in una parola, che fosse rappresentativa di un'immagine concettuale forte, in grado identificarsi in uno oggetto architettonico.
2. LA FORMA ARCHITETTONICA
Le parole incontrate durante la prima fase, nella seconda diventano la guida e a loro volta si trasformano in un primo progetto architettonico. Durante questa fase ogni gruppo ha lavorato sul proprio concept concretizzandolo in uno spazio che doveva necessariamente rispondere ai principi di funzionalità, di dimensioni e di struttura tipici dell'architettura. I limiti che gli sono stati imposti venivano tanto da un limite dimensionale (il lotto massimo da occupare era di 120mq, dato dalla proiezione della copertura a terra) e il materiale con cui realizzare il ponte: il bambù. In questo caso, per facilità di esercizio, si è simulato un progetto con canne di Guadua Angustifolia di circa 10 cm di diametro, e che non superassero i 6 m di lunghezza (misura generale dei trasporti e del bambù in commercio in Perù). In base a questi vincoli, i partecipanti hanno presentato una prima proposta progettuale in cui la struttura in bambù è la grande protagonista nella definizione dello spazio, e la cui forma viene a rappresentare l'idea chiave incontrata durante la prima fase del workshop.
3. LA STRUTTURA DELLA FORMA
Dal concept, alla proposta, alla sua realizzazione spaziale: la terza fase, la più lunga e fase conclusiva, ha visto impegnati i partecipanti nella realizzazione di un plastico in scala 1:25 della proposta avanzata in precedenza. Anche in questa fase sono stati posti dei limiti per rendere il gioco più interessante e formativo: come avviene generalmente nella realtà costruttiva, gli otto gruppi avevano a disposizione un numero limitato di materiali, i listelli di legno utilizzati per simulare il bambù non potevano essere usati con una lunghezza maggiore a quella corrispondente a 6m reali, e tutti i nodi strutturali dovevano corrispondere il più possibile ai nodi reali. Nell'applicare queste regole, i partecipanti si sono scontrati, anche se solo alla piccola scala (per il momento) con la realtà costruttiva dell'architettura, in cui la corrispondenza dell'immaginario grafico non sempre è poi così facile da realizzare in una struttura reale, soggetta a problemi di materiali, di continuità meccanica e resistenza ai carichi. Il bambù presenta un ulteriore limite quando lo si usa come materiale da costruzione: non può essere direttamente esposto alle radiazioni solari, di conseguenza i partecipanti hanno dovuto pensare ad un sistema di copertura, in cui il sistema che ha sollevato maggiore curiosità è stato quello delle tensostrutture.