Riabitare la terra - una proposta per il Borgo di Malandra Vecchia



legno e vetro usati a completamento delle strutture recuperate in terra cruda

Come abbiamo già fatto in passato, pubblichiamo volentieri su questo spazio i risultati di tesi di laurea o altri lavori prodotti in ambito accademico che trattino temi a noi vicini. Generalmente si tratta di lavori che possono liberarsi di alcuni fardelli che a volte fossilizzano la progettazione in ambito professionale, specialmente con un quadro normativo come quello italiano, non preparato ad interagire con i materiali naturali e le rispettive tecniche d'impiego. Quando questi lavori sono approfonditi, come lo è la proposta elaborata dal neo-collega Davide Pedrini e discussa recentemente presso l'Università di Firenze, possono contribuire a sollevare l'asticella del dibattito di quel tanto che basta per aprire nuovi orizzonti ad un'architettura contemporanea che voglia confrontarsi seriamente con le tematiche della sostenibilità ambientale, degli insediamenti in abbandono, dell'autocostruzione assistita e altre rilevanti questioni.

Le “case di terra” narrano una storia antica, ma offrono anche una soluzione moderna che permette di rispettare ciò che è già presente, ma che necessita di un nuovo “respiro”.

E da qui che parte Davide per sviluppare il suo progetto di recupero per il Borgo rurale di Malandra Vecchia nel comune abruzzese di Casalincontrada.

Con 84 case in terra tradizionali sul suo territorio, Casalincontrada può essere considerata la capitale dell'architettura in terra in Italia centrale.
Malandra Vecchia è un borgo sito nel comune di Casalincontrada(CH), in esso sono presenti diverse costruzioni in “terra cruda”, ormai in stato di abbandono e con forti problemi strutturali. Come molte altre realtà rurali italiane, intorno agli anni ‘60/70, anche questa frazione ha subito una forte emigrazione, sia per motivi lavorativi che per la mancanza di servizi nel territorio.
Il progetto "Ri_abitare la terra" ha come scopo quello di ripopolare il borgo, creando quelle condizioni non presenti al momento dell’abbandono e cioè: possibilità lavorative e disponibilità di servizi. Uno dei primi passi è la ristrutturazione degli edifici in terra cruda già esistenti, che necessitano però di una nuova connotazione nell’ottica di un piano che permetta un introito economico. A queste strutture ne vengono aggiunte altre di supporto che hanno scopo recettivo e culturale, utili per implementare l’economia del territorio e per favorire l’aggregazione sociale, caratteristica questa che ha avuto grande parte nel passato del luogo. Pertanto sono previsti nuovi ambienti per uso didattico, turistico e per il commercio dei prodotti tipici. Questi interventi mirano inoltre ad una condivisione nazionale ed internazionale dei risultati ottenuti nell’ambito della terra cruda, nello specifico l’uso del “massone”, e l’esportazione della tradizione contadina, manifatturiera ed enogastronomica teatina.
Il coinvolgimento degli abitanti, ancora presenti, a Malandra Vecchia è uno degli scopi del progetto, sia per la ristrutturazione delle abitazioni che per la divulgazione delle tradizioni.
La tesi parte da una conoscenza sul campo della realtà su cui verte e si sviluppa e conclude con la prospettiva progettuale e culturale di ripopolare il territorio in oggetto, garantendone un’autonomia economica.
La tecnica del massone rappresentata con la sua sequenza esecutiva narra anche le modalità di autocostruzione e mutuo aiuto alla base di quest'architettura rurale.
rilievo delle volumetrie e del loro stato di conservazione.

il Borgo di Malandra Vecchia nel contesto collinare di calanchi e campi agricoli.


planimetria complessiva



le grandezze in gioco

sezioni e prospetti ante operam

planimetria di progetto
pianta livello superiore
pianta livello inferiore


profilo dei terrazzamenti del terreno



strutture d'insieme e dettagli di facciata
generosi spazi di connessione ricuciono i volumi esistenti in terra in un unico edificio dal carattere spiccatamente contemporaneo.

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Architettura in terra cruda in Abruzzo - il caso di Manoppello

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